Ieri i paesi dell’OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries) hanno raggiunto, assieme ad altri 10 paesi produttori di petrolio ma non facenti parte dell’OPEC, di estendere per altri 9 mesi i tagli alla produzione su cui si erano precedentemente accordati.

 

Ad Ottobre 2016 si erano infatti accordati per tagliare la loro produzione di 1.8 milioni di barili al giorno (pari circa al 2% della produzione mondiale) rispetto ai circa 31 milioni che stavano producendo al momento dell’accordo.

 

Il fatto è che la notizia di un prolungamento di questo accordo era già trapelata nei giorni precedenti e quindi era già scontata dal mercato che aveva infatti portato il prezzo del petrolio dai 47 di inizio Maggio agli oltre 54 di mercoledì:

 

 

C’erano poi voci che l’OPEC potesse accordarsi per un prolungamento dei tagli più esteso nel tempo oppure un taglio più pronunciato in termini di quantità di barili al giorno, cose che in effetti, a detta del ministro dell’energia saudita, sono state discusse durante il meeting.

 

Non essendo però arrivati a concludere un accordo migliore del prolungamento di 9 mesi che già il mercato si attendeva, si è assistito al classico “buy the rumor, sell the fact”, cioè il fatto che il mercato si è mosso in direzione opposta a quella dei giorni precedenti appunto perché il prolungamento era già scontato ma invece le aspettative di un accordo migliore sono state deluse.

 

Il petrolio è quindi sceso oggi sotto i 51 dollari al barile per poi rimbalzare leggermente assestandosi per adesso sotto i 52 dollari al barile.

 

Un effetto simile, anche se meno pronunciato, si può vedere sui calendar gas e power. Ad esempio la salita del calendar del gas olandese nei giorni precedenti è coincisa con quella del petrolio, per poi seguirlo al ribasso da ieri in poi:

 

 

Per quanto riguarda la situazione futura c’è chi è ottimista, come ad esempio il ministro dell’energia saudita che si focalizza sul fatto che grazie a questo accordo fra nove mesi le scorte mondiali di petrolio dovrebbero tornare in linea con la media degli ultimi decenni (riducendo quindi la forte oversupply che si è generata dal 2014 in poi); altro esempio, un analista sostiene che le prossime elezioni in Russia e il fatto che l’Arabia Saudita voglia quotare in borsa Aramco (l’azienda oil&gas di proprietà dello stato saudito che è tra le più grandi aziende al mondo) l’anno prossimo faranno sì che questi due paesi facciano di tutto per sostenere il prezzo del petrolio.

 

C’è anche però chi guarda l’altra faccia della medaglia, come Goldman Sachs che sottolinea il fatto che comunque la capacità produttiva di petrolio sta continuando ad aumentare a causa dello shale oil US e quindi, anche se le scorte dovessero tornare in linea fra nove mesi, si arriverebbe comunque ad una nuova situazione di oversupply globale dalla metà del 2018 in poi.